Luisa

Luisa



Quando Anna aprì gli occhi, la luce era bassa. Fuori doveva essere ancora tutto in penombra. Si alzò e preparò il caffè. Luisa, nel letto affianco, dormiva.
Ne bevve un sorso e cercando di non fare rumore, tirò da sotto il letto la scatola. Avevano deciso per quel giorno, durante la pausa del mattino, dopo la pulizia della stanza e dei corridoi.
La sera prima, Luisa aveva solo domandato se sarebbe stata una cosa veloce e se i capelli sarebbero rimasti uguali a prima. Anna aveva assicurato di sì. Lo aveva già fatto e nessuna si era mai lamentata, solo che, appena tagliati, bisognava avvolgerli in un panno doppio e scuro ed evitare di piegarli, così si riusciva a conservare anche l’odore.
Era importante l’odore. La prima cosa che perdono, quelli che stanno fuori, è l’odore del corpo, della pelle, del sudore.
Luisa aveva avvertito un brivido.
L’ultima volta che era venuto a trovarla, tanto tempo fa, le aveva detto una cosa simile:- Luisa -aveva detto - non so più che sapore hai.- Ma parlavano attraverso il vetro e non si distingueva il suono delle parole, così lei aveva passato il tempo a leggergli le labbra. Era una cosa faticosa e triste. Intanto che gli guardava la bocca, aveva perso tutto il resto. 
Anna mise la scatola sul letto, l’aprì e tirò fuori un rasoio lungo una ventina di centimetri con la lama piatta, la punta arrotondata e il manico di osso, largo e comodo da impugnare. Ogni volta controllava che non ci fossero macchie di ruggine, poi lo affilava e lo lucidava. 
Non sempre andava tutto liscio però. Con Luisa aveva mentito.
Quelle che decidevano di farlo, si lasciavano crescere i capelli fino alla vita o addirittura alle ginocchia e ci volevano anni.

Molte sopravvivevano così, lavandosi e ungendosi i capelli per mandarli un giorno dall’altra parte, infagottati e profumati, quasi fossero una cosa sacra. Ma una volta finito tutto, era come se si fossero strappate con le proprie mani un figlio dalla pancia.
Per Anna invece, resistere lì dentro era solo questione di lucidità e di controllo. Lei manteneva l’ordine. Lei faceva il lavoro. Lei decideva chi era pronta e chi no.
Le altre si affidavano e quando arrivavano i pianti e la disperazione, bisognava rimettere le cose a posto. Perciò poteva tenere la scatola: le altre si affezionavano ai capelli, Anna badava solo al suo rasoio. E a Luisa.
Luisa aveva gli occhi sempre lucidi, come quelli dei bambini dopo che hanno pianto. Occhi grandi e tristi e una testa esile, da uccellino, che se ne stava per miracolo in bilico sulle spalle. Passavano gli anni e tutto il corpo rimpiccioliva, come un ramo secco. Ma nessuno lì dentro aveva mai visto dei capelli così. Mossi e lucenti, parevano color del miele al mattino,  la sera diventavano scuri come ebano e sotto il sole si coloravano di riflessi ramati. In tutti quegli anni avevano continuato a crescere folti e pesanti senza mai ingrigire. Le arrivavano ormai oltre il bacino.
Nell'ora d'aria, quando si accovacciava a disegnare nella ghiaia il solito scarabocchio, una specie di piccola figura umana senza mani e piedi, con due teste di cui una spaccata a metà come fosse una mela marcia, Luisa spariva sotto i suoi capelli.
Le altre ogni volta urlavano e schiamazzavano e dicevano che una strana bestia era piovuta lì in mezzo chissà da dove.
Senza chiedersi perché, Anna la proteggeva. Era una cosa che andava così, dal primo giorno che gliel’avevano portata in cella. Era arrivata completamente calva e bianca come un lenzuolo e non aveva parlato per mesi. Le avevano cucito addosso i vestiti perché non faceva altro che strapparseli. Lo aveva fatto nell’aula del tribunale, davanti al giudice e ancora prima per la strada. Perciò l’avevano presa. Un poliziotto se l’era trovata davanti mentre girava per i vicoli del quartiere, nuda e rasata a zero.
Tutto era cominciato gettando un po’ alla volta nella discarica quello che in casa si era accumulato col tempo. Dopo un po’ era passata alla biancheria, agli utensili della cucina, ai mobili del soggiorno. Un giorno aveva svuotato la sua stanza da letto e quella dei bambini, tenendo solo qualche coperta e un materasso. Poi erano spariti i vestiti. E quando in casa non c’era più niente da eliminare, una sera si era rasata e depilata a zero, aveva ammazzato i figli ed era uscita per strada.
Alle altre, Luisa faceva ribrezzo per quello che aveva fatto ma soprattutto per quell’assurda massa di capelli che spuntava da suo corpo di vecchia bambina e per gli enormi occhi spalancati come voragini sopra il nulla. Anna invece non si faceva domande. La vita, secondo il suo modo di vedere, per gran parte di loro era andata così, mai dritta, mai sicura. A Luisa doveva essere successo di girare in tondo per tutta l’esistenza e con il massimo dello sforzo, lungo un cerchio invisibile che era passato, a un certo punto, per quella strana serata. E tra poco Anna avrebbe preso il suo rasoio e si sarebbe messa al lavoro e i capelli di Luisa, avvolti dentro il panno scuro, morbidi e profumati, avrebbero oltrepassato i muri e le sbarre, il cortile e i cancelli per andare chissà dove e forse, dopo, Luisa avrebbe pianto oppure si sarebbe accovacciata sulla ghiaia, nel cerchio invisibile della sua esistenza, a disegnare l’omino a due teste sotto il sole cocente, di nuovo calva e scoperta, e le altre, vedendola, avrebbero provato più ribrezzo di prima.

Quando rientrarono in cella, dopo il giro di pulizie, Anna mise Luisa a sedere sotto la finestra, con la scacchiera di luce che passava attraverso le grate e la illuminava tutta. Lei se ne stava immobile, con le mani poggiate in grembo. Anna le spazzolò i capelli poi posò il pettine, aprì la scatola e impugnò il rasoio. Con l’altra mano prese Luisa per la fronte e se la tirò al petto. Cominciava sempre dalle tempie, cercando di tagliare il più possibile vicino alla radice dei capelli. Era contenta perché Luisa cedeva alla pressione del suo gesto, tranquilla, con gli occhi chiusi contro il sole, una mano abbandonata sulle cosce mentre l’altra si muoveva appena per un fremito leggero.
Poi Anna aveva sentito uno strappo violento, come una scossa improvvisa e una sensazione di calore che si allargava tra le dita. Il rasoio era entrato, profondo e silenzioso, nella gola di Luisa, tranciandola a metà.

restare visibili

Entrare. Nel petto. Nei chilometri.
La faccia muta come una terra. Questo cielo allora
di schiena attaccato durante il sonno
senza tempo, per ore. Fare l’amore senza il minimo sospetto
che vento, carezze, maremoti delle braccia incredibili
fanno l’opera, tengono
aperti i visi degli amanti, aperti al crollo degli anni
tutti gli istanti. Ti prego, tieni a mente tu
il paesaggio scavato di strade, questo volto grande.

***


Restare visibili. Non lasciare mai
le linee del volto confondersi fino a che
catrame sia questo grigio per le strade.
Non meno morte mi apri tu, se dici
il fulcro della doratura se la bocca
di notte apri tu. C’è un albero qui, davanti
alla mia finestra; qualcosa da su
oggi piove. Non lasciare mai
questa tua carne minima; proteggila
resta.
Io voglio che tu veda
crescere questo albero.

Tommaso Di Dio

compassione



christian schloe


Debolezza e flessibilità esprimono la freschezza dell'esistenza. Ciò che si è irrigidito, non vincerà.

angelus novus

Angelusnovus








 "C'è un quadro di Klee che s'intitola 'Angelus Novus'. Vi si trova un angelo che sembra in atto di allontanarsi da qualcosa su cui fissa lo sguardo. Ha gli occhi spalancati, al bocca aperta, le ali distese. L'angelo della storia deve avere questo aspetto. Ha il viso rivolto al passato. Dove ci appare una catena di eventi, egli vede una sola catastrofe, che accumula senza tregua rovine su rovine e le rovescia ai suoi piedi. Egli vorrebbe ben trattenersi, destare i morti e ricomporre l'infranto. Ma una tempesta spira dal paradiso, che si è impigliata nelle sue ali, ed è così forte che egli non può più chiuderle. Questa tempesta lo spinge irresistibilmente nel futuro, a cui volge le spalle, mentre il cumulo delle rovine sale davanti a lui al cielo. Ciò che chiamiamo il progresso, è questa tempesta. " ( W. Benjamin, Tesi di filosofia della storia)

song for sharon





…..
Sharon you've got a husband
And a family and a farm
I've got the apple to temptation
And a diamond snake around my arm
But you still have your music
And I've still got my eyes on the lend and the sky
You sing for your friends and your family
I'll walk green pastures by and by                                  Joni Mitchell Song For Sharon



Restare visibili

Entrare. Nel petto. Nei chilometri.
La faccia muta come una terra. Questo cielo allora
di schiena attaccato durante il sonno
senza tempo, per ore. Fare l’amore senza il minimo sospetto
che vento, carezze, maremoti delle braccia incredibili
fanno l’opera, tengono
aperti i visi degli amanti, aperti al crollo degli anni
tutti gli istanti. Ti prego, tieni a mente tu
il paesaggio scavato di strade, questo volto grande.

***
Restare visibili. Non lasciare mai
le linee del volto confondersi fino a che
catrame sia questo grigio per le strade.
Non meno morte mi apri tu, se dici
il fulcro della doratura se la bocca
di notte apri tu. C’è un albero qui, davanti
alla mia finestra; qualcosa da su
oggi piove. Non lasciare mai
questa tua carne minima; proteggila
resta.
Io voglio che tu veda
crescere questo albero.


Tommaso  Di Dio, Favole