Ninna nanna

      
      Era successo nella mattinata e ce lo comunicavano con una telefonata. Chiesero di mio padre e glielo dissero così, per telefono, che era morto Gigi, suo nipote; che c'era stato un incidente, in mare e che i genitori erano introvabili. Lo vidi accasciarsi sul divano e  comparirgli in faccia un sorriso stonato, come se il cervello si fosse d’un tratto rappreso, bloccandosi. Sorriso da ebete l’avrei detto, se non fosse che mi pareva di leggere tra le movenze del volto, arrossatosi all’improvviso, il farsi largo di un'altra espressione, una specie di imbarazzo, forse vergogna per quella cosa oscena che significava la morte di un ragazzo di diciannove anni. Mio zio e mio padre arrivarono alla sala mortuaria dell'ospedale nel pomeriggio: la porta era spalancata e il medico li aspettava nell'anticamera.. La stanza era enorme, con il soffitto altissimo. Un'unica finestra ovale sulla parete opposta all’entrata lasciava filtrare un fascio di luce, sferica, corpuscolare.Il cono luminoso cadeva giusto nel mezzo dei due tavoli presenti nell’obitorio, così che questi ne ricavavano soltanto un riflesso, preservandosi nell’ombra, quasi a voler mantenere quella scena in un’ottusa necessità di riserbo. Sui due tavoli mio cugino e un bambino, che non aveva più di quattro o cinque anni.

Per il gioco di luce, forse, quei corpi, nonostante l’estate, apparivano candidi nel loro biancore, corpi giovani e perfetti nelle proporzioni.
Mio cugino, in costume, i capelli bagnati, si mostrava in tutto il suo splendore di atleta, la muscolatura scolpita, il ventre all’indentro e il torace gonfio come a trattenere il fiato per un ultimo tuffo. Il volto immobile sembrava concentrato e quel corpo si restituiva a loro assolutamente inviolato: nessun segno di ferite, lividi o abrasioni, neanche tracce di sangue, lavate dal mare: insomma a vederlo li disteso non si riusciva a cogliere traccia dell’ incidente.
La posizione supina aveva creato l'artificio. Lo scafo della barca in effetti gli era passato sulla schiena. Lo aveva colpito e scavato solo da dietro, squarciandogli il dorso e la nuca proprio mentre cercava di saltare in acqua, e la morte, beffarda, era venuta così a fissare quell’ultimo guizzo atletico, lasciandogli intatto il suo bell’aspetto di sempre.
Il bambino era dal lato opposto, lineamenti angelici dentro una corona di riccioli biondi. Le sue forme composte e minute rimpicciolivano ancora di più a paragone con lo slancio e la potenza del corpo di Gigi. La stessa squallida immensità della sala e quel tavolo asettico dove era stato adagiato, accentuavano lo stridere di proporzioni. Per lui non c’era nessuno né si poteva capire come fosse morto.L’impressione era che stesse dormendo di un sonno tranquillo.

Mio padre osservava quella scena con la sensazione di trovarsi su un altro pianeta.Tutto era così irreale, impossibile credere che quei due corpi fossero freddi e probabilmente già irrigiditi, così che non osava oltrepassare la soglia, come se entrare li dentro avesse potuto rompere un incantesimo.
Si accorse solo dopo un pò che suo cognato aveva preso a muoversi ma, incredibilmente, invece che verso il figlio, quasi di slancio di era diretto dall’altra parte, verso il tavolo del bambino. Lo vide chinarsi su quel corpicino immobile e gli sembrò che cominciasse  delicatamente a carezzarlo, anzi pareva proprio tutto concentrato a sussurrargli qualcosa all’orecchio. Il senso delle parole, quasi fosse una cantilena, a mio padre risultava incomprensibile ma a poco a poco quel balbettio si spense e giunse il pianto a squassargli il respiro.   Poi con un filo di voce mio zio riprese a cantilenare e, allargate le braccia, strinse al petto quel figlio non suo e dolcemente, a ritmo lento, se lo cullò.

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