Il posto o dell 'assoluto

"E' ritrovata.
Che cosa?L'eternità.
E' il mare convenuto
con il sole"

Rimbaud

La poesia conduce al punto stesso cui porta ogni forma di erotismo, vale a dire all'indistinto, alla confusione degli oggetti distinti. La poesia ci conduce all'eternità, essa ci conduce alla morte, alla totalità: la poesia è l'eternità. E' il mare convenuto con il sole.
Georges Bataille





Una donna amava un uomo.
Lei non sapeva cosa ne sarebbe stata della sua vita, ma in quella vita l'uomo aveva un posto.
Era il posto della forza, della conoscenza, del rigore.
Era il posto del silenzio che parla le lingue del possibile.
A volte la donna sognava l’uomo e il mondo intorno era come un di più, un troppo.
L' uomo era bello, le mani grandi e forti, le gambe salde, come piantate nella terra, il viso tondo e affilato insieme, gli occhi buoni.
Fosse pure ai bordi dell'universo, la donna sapeva che l’uomo un giorno l’avrebbe  presa con sé.
Passò il tempo.
Le  braccia, i piedi, il suo respiro segnavano il ritmo di un'esistenza piena.
Il cuore, da parte sua, inseguiva la traccia di quel bordo.
Poi un giorno, all'improvviso, l'universo si contrasse e  la donna lo rincontrò.
“Ti ho aspettato” gli  disse.
“Eccomi” fece l'uomo
"E' ritrovata." sussurrò la donna, avvicinandogli le labbra all'orecchio
" Che cosa?" chiese lui,  e i suoi occhi, fissi in quelli di lei,  vi scorsero l'assoluto.
" L'eternità. E' il mare convenuto con il sole".

Oggi il Signor Beckett mi ha parlato così.......

"Ho sempre tentato. Ho sempre fallito. Non discutere. Prova ancora. Fallisci ancora. Fallisci meglio.”

 

Muri

Tiravo su muri a secco, io 
 ma il tempo, sopra, ci filava ragnatele
mute, lente.
E invece la vita forse è un bordo
e  io, muscoli tesi e sguardo acuto,
ora tento  l'equilibrio.

Decrescita infelice


Decresco, dunque sono
una mezza figura di uomo
Decresco e dunque riesco
a essere metà di me stesso

mentre l'altro lo tengo in disparte
di conserva, al fresco.
Decresco: possa essere questo
il segreto per esser felice?

Non credo: l'enigma mi dice
che decresce soltanto chi zoppa
camminando con un bastone.
La decrescita è solo una toppa

cucita su un corpo senza ragione.
Decresco come un coglione
decresce se il pene non cresce
e ciò che è dentro non esce.

Decresco e mi sento insicuro:
la sera non esco e mi muro
dentro le mura di casa. È

vissuta in sordina perché
i poeti devono tenere spento
il fuoco mondano e la rabbia.
Decresco, mi viene la scabbia

mi gratto come un cane si gratta
e mi metto una mano sul petto
e mi metto una mano sul pezzo
e sento che cresce di un etto

grammo il desiderio a prezzo
scontato. Decresco e non sono
un commerciante nato, un uomo
adatto a far ripartire il mercato.

Decresco in modo pacato
Decresco in modo educato
Decresco con molto decoro
Decresco con poco tesoro

Decresco correndo a perdifiato
l'unica cosa che mi resta da perdere
su quello che resta di verde
di un prato toscano assetato.

Decresco, mi sono stancato.

L'assenza



L'assenza dondola nell'aria come un batacchio di ferro

martella il mio viso martella

ne sono stordito

corro via l'assenza mi insegue

non posso sfuggirle

le gambe si piegano cado

l'assenza non è tempo nè strade

l'assenza è un ponte fra noi 

più sottile di un capello più affilato di una spada

più sottile di un capello più affilato di una spada

l'asenza è un ponte tra noi

anche quando

 di fronte l'uno all'altra le nostre ginocchia di toccano

Nazim Hikmet

.......il tocco.......




Nancy  L’amore è il tocco dell’aperto.

«Ci si obietta che sottraendo il desiderio alla mancanza e alla legge, non si potrà ottenere altro che uno stato di natura, un desiderio realizzato naturalmente e spontaneamente. Noi diciamo esattamente il contrario: non esiste desiderio se non all’interno del costruire o dell’operare. Non si può afferrare o concepire un desiderio al di fuori di una determinata costruzione, su di un piano che non sia preesistente, ma che deve esso stesso essere costruito. Che ciascuno, gruppo o individuo, costruisca il piano immanente dove condurre la sua vita ed i suoi progetti è la sola cosa che conta. Al di fuori di queste condizioni, viene infatti a mancare qualcosa, ma si tratta precisamente delle condizioni che rendono il desiderio possibile»  Deleuze

Desidero dunque sono

Freud, illustrando i rapporti tra processo primario e processo secondario, scrive: «Chiamiamo desiderio codesta corrente [Strömung] all’interno dell’apparato, che parte dal dispiacere e mira al piacere; abbiamo detto che nulla, fuorché un desiderio, è in grado di mettere in moto l’apparato e che in esso il decorso dell’eccitamento è regolato automaticamente dalle percezioni di piacere e dispiacere. È probabile che il primo atto di desiderio sia stato un investimento allucinatorio [hallucinatorisches Besetzen] del ricordo di soddisfacimento [Befriedigungserinnerung]»Il desiderio originerebbe quindi già all’interno del processo primario: mai, una volta nato, in nessun momento della vita, l’essere umano è pienamente soddisfatto. Non appena uscito al mondo, avverte la mancanza e subito esprime, sia pure in modo inconsapevole, il proprio “desiderio” di star meglio. In questa fase il confine col bisogno è ancora labile; il bisogno, parente povero del desiderio, da distinguere con cura: come dice Roland Barthes, il discorso dell’assenza – cioè la radice comune classica di desiderio e bisogno nella steresis, nella mancanza – è un testo con due ideogrammi: vi sono le braccia levate del Desiderio, e vi sono le braccia tese del Bisogno.

desiderare-ancora

Destini

  "Dovremmo avanzare, anche nel percorso più breve,
    con imperituro spirito di avventura, come se non dovessimo mai fare ritorno,
   preparati a rimandare, come reliquie,
   i nostri cuori imbalsamati, nei desolati regni"
                                                                         Thoreau


 "Come sferzati da spiriti invisibili,
  i solari cavalli del tempo traggono la carrozza lieve del nostro destino;
  e a noi non resta che farci animo, reggere le redini,
  e ora a destra, ora a sinistra governare le ruote a evitare quel sasso, quel precipizio.
 Chi può sapere dove vada?
 A malapena ci si ricorda di dove venne"
                                                                             Goethe

Il futuro o degli impossibili




Mi accorgo che ogni tanto faccio errori di ortografia.....
E' che mi sembra di andare all'indietro, una specie di analfabetismo di ritorno.
A volte dimentico un nome o una faccia, sempre più spesso dove ho messo le chiavi di casa.
 E il reale, ancora lui, diventa una specie di sasso levigato e senza appigli.
Ci sono cose invece che non dimentico, mai.
Ho pochi ricordi ma come conficcati nella carne.
Di certi ne avverto la presenza quasi  si trattasse di un pezzo del mio braccio o di una gamba, di cui ti accorgi solo se indolenziscono.
Succede lo stesso con certi brandelli di memoria: fanno male o danno piacere e allora so che bisogna smuovere la polvere. 
Di tanto in tanto faccio anche un'altra cosa: rimetto insieme i pezzi  e  combino sequenze.
Invento vite di riserva.
Il passato è buffo proprio per questo: c'è ma non puoi avere la certezza di cosa sia effettivamente autentico e cosa artificiale.
Ci vogliono gli altri per dare forma di verità alla nostra memoria, che è la nostra vita. E quando gli altri sono assenti, si sottraggono o vengono a mancare, lì prende forma il buio e un po' di paura.
Ma l'idea di lasciare andare nomi, luoghi, corpi, odori, mi fa sentire addosso  un bagaglio leggero di vita passata e mi sembra più facile prendere la mira e  puntare verso un altro orizzonte.
 Eppure lo  so  che " il futuro è esercizio di memoria".
Ma ci cado dentro come da una soglia invisibile in questo lago di possibilità.
Come quest'estate.
Sola con i miei due figli più  piccoli, ho vissuto per qualche tempo  a Parigi, in un appartamento a Belville, in una strada decente di un punto ormai residenziale del quartiere.
Fino a tardi sotto le mie finestre, un gruppo di uomini beveva e si ubriacava; le voci riempivano il vuoto della notte e io non riuscivo a dormire
E così passavo le ore insonni a scorazzare su quel limite invisibile, facendo esercizi di immaginazione.
 Mi sembrava di vederlo lì davanti il mio destino:  l' impensabile che finalmente si realizza; la lontananza e il senso di estraneità  che fanno da sponda ad una leggera euforia; una solitudine che non spaventa, anzi mi fa tranquilla.
Forse perdevo tempo.
Chissà: forse avrei dovuto avere più pazienza, tenacia e con  un piglio deciso rimanere
concentrata a dirigere e mantenere il giusto sguardo sulle giuste memorie…….
Forse, chissà, ci avrei guadagnato il futuro…..

L'idea triste

In un passaggio di «Variazioni sulla libertà» (Sguardi sul mondo attuale, pp. 67‑68) Valery dice che la libertà della mente consiste nella capacità ‑ un automatismo la chiama ‑ di ridurre nel più breve tempo possibile le idee alla loro natura di idee, di essere delle idee e nient'altro che idee, impedendo di confonderle con ciò che esse rappresentano o con i valori affettivi e impulsivi che l'accompagnano: il rapporto che infatti lega le idee a questi valori è solo accidentale. L'esempio di tutto questo è quello dell'idea triste: un'idea triste si deve scomporre in un'idea senza tristezza e in una tristezza senza idea. La libertà di cui parla Valery non si deve confondere con la cosidetta libertà di pensare, cioè di manifestare le opinioni. La libertà secondo Valery non ha nulla a che fare con le opinioni, cioè con la dimensione della doxa. La libertà ha che a che fare con l'indipendenza della mente dal sistema delle abitudini, delle credenze e degli affetti che tendono a condizionarci.

da Tuttofuorchèlenuvole,blog filosofico-politico di Bruno Moroncini

Uno....

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Uno finisce che si sveglia un giorno
e dice ma che cazzo ci sto a fare
o qualcosa del genere qualcosa
del tipo basta lo vedi si posa
sempre la stessa polvere in soggiorno
la togli e torna e tutto ciò che pare
nuovo è solo un anello del collare
di tutta questa roba appiccicosa
che più ti muovi e più si stringe intorno
per tenerti al tuo posto nello stormo
di questa specie che ha evoluto in strame
vivificato nella terra smossa
ogni anello trascorso nella fossa
che s’incatena fino a me che dormo
e mi risveglio a me che sazio ho fame
un’altra volta e sento queste lame
ficcarsi tutte dentro per la scossa
di quella forza lenta in cui mi sformo
e che mi renderà simile a loro
riverso nella fossa come un cane
dove finisce l’ultima rincorsa
e ci si serra tutti nella morsa
che chiude questo inutile lavoro
con cui ci costruimmo tante tane
trascorse dalle larve delle vane
voci che fummo fermi nella pozza
o solo l’aria che va via dal foro


Gabriele Frasca